Il 6 luglio a Roma si è riunita per la prima volta l’intera filiera italiana delle bioplastiche compostabili, in occasione dell’evento promosso da Biorepack, Assobioplastiche e CIC. Crescono ancora fatturato e tasso di riciclo, ma il futuro è a rischio se Italia e UE non ne riconoscono il valore strategico.
Volumi, fatturato e occupati dell’industria italiana delle bioplastiche compostabili continuano a salire. Aumentano anche il tasso di riciclo degli imballaggi in bioplastica compostabile, la popolazione coperta e i corrispettivi economici riconosciuti ai Comuni. È questa la fotografia di settore che emerge dal IX Rapporto sulla filiera italiana delle bioplastiche compostabili presentato a Roma durante il convegno organizzato da Assobioplastiche, Consorzio Biorepack e CIC (Consorzio Italiano Compostatori), prima riunione di tutta la filiera italiana delle bioplastiche compostabili.
Il successo del modello italiano, che vede le bioplastiche compostabili legate a doppio filo alla raccolta dell’umido, è tutto nei numeri contenuti nello studio effettuato da Plastic Consult, società indipendente che svolge studi e analisi di mercato nel settore delle materie plastiche:
Non meno rilevanti, i numeri relativi alle attività di trattamento: gli impianti di compostaggio distribuiti nelle diverse regioni italiane hanno trattato 4 milioni di tonnellate di rifiuti organici, grazie a cui si sono ottenuti oltre 2 milioni di tonnellate di compost (il 34% delle quali a marchio CIC), riportando nei terreni agricoli 440.000 tonnellate di carbonio organico e risparmiando 5,4 megatonnellate di CO2 equivalente.
Nonostante i numeri indubbiamente positivi che accomunano le diverse fasi della filiera e confermano la bontà del modello costruito, le nubi all'orizzonte non mancano: sebbene la legge che ne vieta l’uso sia in vigore da più di 10 anni e nonostante gli impegni profusi dalla filiera e dalle Forze dell’ordine, il tasso dei sacchetti illegali è infatti salito dal 22% del 2021 al 28% del 2022.
E poi un recente fenomeno di elusione delle normative è rappresentato dai manufatti cosiddetti “riutilizzabili”: basta osservare con attenzione gli scaffali di negozi e supermercati per rendersi conto che stanno proliferando piatti, bicchieri e posate realizzati in plastica tradizionale ma venduti con la dicitura “riutilizzabile”. Un escamotage tecnico per aggirare la norma che vieta il monouso e offrire prodotti il cui costo di produzione è ovviamente molto più basso.
Da qui l’appello congiunto di Assobioplastiche, Biorepack e CIC: sul fronte del contrasto all'illegalità occorre ripensare e rafforzare il meccanismo dei controlli, che vedono già oggi impegnate le diverse Forze dell’ordine.
Ma accanto a ciò servono interventi capaci di riconoscere il valore strategico dell'intera filiera. Anche perché il quadro è reso più complesso da quanto accade sugli scenari internazionali: dalle direttive europee potenzialmente in grado di azzoppare una filiera di eccellenza alle azioni di grandi Paesi che puntano ad affermarsi nel settore anche attraverso pericolosi meccanismi di dumping.
Il successo del modello italiano, che vede le bioplastiche compostabili legate a doppio filo alla raccolta dell’umido.
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